domenica 20 febbraio 2011

Tetti di cristallo

  Il mio paese fu inghiottito dal vento, e feci in tempo a fuggire. Non so perché mi graziò, probabilmente s’accorse che per me lui era vento e basta. Ero una bambina e non avevo affatto voglia di camminare sulla terraferma, avrei sempre voluto volare, restare sospesa, giocare con le nuvole e tentare di mangiarne un pezzo, vista la loro incredibile somiglianza con lo zucchero filato.

E fu quello stesso vento che mi avvolse fra le sue braccia e mi portò via da lì. Volle salvarmi, ne sono certa. Si fermò soltanto quando toccai delicatamente i piedi sulla terraferma. Provai disagio, paura. Non mi piaceva poggiare i piedi sulla terra. Iniziai allora a correre; soltanto correndo potevo alzare spesso i piedi dalla strada e avere l’impressione di rimanere sospesa il più a lungo possibile.
Ad un tratto smisi di correre, frenai d’improvviso e mi sbilanciai in avanti, allargando le braccia per impedire al mio musetto immacolato di finire rovinosamente schiacciato in terra. In quel momento non mi accorsi nemmeno che i miei piedi stessero toccando il suolo. Rimasi incantata a guardare le case di quel paese; non avevo mai visto case così. Le mura esterne si presentavano completamente normali, ma i tetti erano fatti di cristallo.
Non ci pensai due volte, presi ad incamminarmi verso l’uscio della prima casetta sulla destra ed andai goffamente a bussare alla porta. Attesi con impazienza tenendomi in equilibrio sulle punte delle mie scarpette rovinate dalla strada di vento finché un uomo non venne ad aprire. Mi fece entrare immediatamente e senza farmi domande, forse intuì la mia provenienza guardando le mie scarpette. Non lo so.
Percorsi il corridoio tenendo per tutto il tempo il naso all’insù, restando incantata ed imbambolata a fissare quei tetti. Chiesi all’uomo, senza rivolgergli lo sguardo, rimanendo dunque col capo rivolto verso l’alto, come mai nel suo paese i tetti fossero di cristallo. Lui alzò le spalle e andò verso la cucina, me ne accorsi dai suoi passi, ma restai comunque a fissare il tetto.
Passò qualche ora e decisi di sedermi a terra, le gambe stavano iniziando a cedere, rimasi però a fissare il tetto finché non calò la notte, e rimasi abbagliata a guardare le stelle.
Non c’era più nemmeno una nuvola in cielo, le stelle brillavano più che mai e sembravano essersi moltiplicate rispetto a quando vivevo nel paese con la strada di vento. Sorrisi. Il suono della televisione accesa dai coniugi che stranamente mi ospitarono senza farmi alcuna domanda, non mi attirava affatto. Rimasi incantata a contemplare la volta celeste, su cui spiccava anche una meravigliosa luna calante che sembrava sorridermi. Sorrisi di rimando alla luna e rimasi a dondolarmi ancora a lungo senza mai distogliere lo sguardo dal cielo. Mi stesi poi, il torcicollo si stava accentuando, ma ancora lo sguardo era ipnotizzato da quelle stelle, mai avevo visto prima d’allora una casa dal tetto di cristallo.
Eppure i coniugi continuavano a guardare la televisione, imbambolati, senza toccarsi e senza tenersi per mano, mai. Lui beveva una birra e lei fissava gli ospiti del telequiz con aria assente, borbottando un commento sprezzante ogni tanto verso una valletta che entrava saltuariamente a sgambettare.
Eppure sarebbe bastato alzare per un attimo lo sguardo e fissare quelle stelle, sono certa che avrebbero trovato  la scena così romantica e dolce da desiderare di prendersi per mano ed andare a fare l’amore su di un letto cosparso da petali di rose, potendo ammirare da lì il tetto di cristallo che lasciava guardare lo splendido e interminabile spettacolo che il cielo offriva.
Ed io? Io mi addormentai a notte inoltrata, e la veglia era stata così bella e piena di magia che quasi non notai la differenza con i sogni che feci. Aprii gli occhi soltanto quando il Sole era già alto nel cielo. Sarebbe stato impossibile lasciarli chiusi; la sua luce era così forte da abbagliarmi, dunque voltai il capo verso destra e schiusi lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre più volte per farli abituare alla luce. Notai che i coniugi ancora dormivano, di un sonno profondo e senza sospiri, pieni di pezzi affilati di cristallo rosso che ricoprivano i loro corpi, e con quelli tutto il resto della casa, tranne me.
Il cielo è orgoglioso, non bisogna offenderlo. Si stancò di essere messo in secondo piano rispetto ad una banale trasmissione televisiva; e con pezzi di grandine grossi come limoni, distrusse tutti i tetti di cristallo che lui stesso aveva creato per rallegrare gli abitanti di quel paese, ma che una volta abituati a quello spettacolo unico e meraviglioso, si dimenticarono completamente dell’esistenza del cielo, non alzando mai più lo sguardo verso l’alto.


Nessun commento:

Posta un commento