Bevo, e la sete non va via.
Il fiato mi si strozza in gola; una boccata d’aria è più soffocante dell’asfissia stessa. Come se stessi inalando vapore bollente.
L’acqua è finita. Poco male; non mi ha dissetata.
Tasto il mio collo per appurarmi che sia ancora lì; ho la cervicale completamente bloccata, e con essa le spalle.
Non vedo niente. E’ buio qui, è stretto, e ho la vista appannata come quando l’oculista mi somministrò le gocce per dilatarmi le pupille.
D’istinto batto le palpebre più e più volte. E’ una cosa inutile, non so perché lo faccio. Quasi m’illudessi che in un battito di ciglia possa ricominciare a vedere bene. Quanti gesti istintivi inutili compiamo ogni giorno. Il nostro organismo ha un istinto protettivo abbastanza stupido verso sé stesso. Nemmeno il nostro stesso corpo è più in grado di proteggerci.
Alzo lo sguardo; sopra c’è un po’ di luce. Inizio a muovere le mani lungo le assi di legno; piano, con attenzione. E’ tutto così stretto qui. Voglio vedere cosa c’è oltre quel buco, ma è troppo in alto.
Riprovo, stavolta con un salto. Ma non è affatto una buona idea: le quattro strettissime pareti di legno che mi intrappolano iniziano a barcollare. Mi spavento e mi tengo a quelle ai lati del mio corpo. Altro gesto istintivo pressoché inutile; che razza di equilibrio posso mai avere all’interno di una cassa? Non avrei dovuto saltare.
Istinto di sopravvivenza, lo chiamano. Che cosa stupida. Gli esseri umani passano la vita a cercare di rendersi infelici, ad accontentarsi o a dire di sì per non dar dispiacere a qualcuno; ad allontanare chi li ama ed avvicinare chi, sadicamente, si diverte a farli soffrire. E questo sarebbe il grande potere del nostro istinto di sopravvivenza? Balle! Sono istinti autolesionisti. Sopravvivere in questo modo? Per cosa? Tanto, lasciamo morire ogni giorno pezzi della nostra anima.
Ora basta pensare a queste stronzate. Devo uscire da qui.
Dunque, di raggiungere i buchetti nel legno non c’è verso. Perlomeno, grazie alla luce che vi filtra, so che lì fuori è pieno giorno.
Tendo l’orecchio, schiacciandolo contro il legno. Ma non si sente nulla, solo il suono leggero di quel vento così caldo che, anziché dare un po’ di sollievo, uccide.
Ma come ci sono finita qui?
Inizio a tastare lentamente le pareti, la mia condizione non mi permette di fare granché. E’ troppo stretto qui, posso solo riuscire, sempre con una certa cautela e sollevando le braccia, a compiere un giro attorno a me stessa.
Chi mi ha chiuso qui? E per quale motivo? Cosa diamine ci faccio qui?
Niente. Non c’è il minimo spazio fra un’asse e l’altra. Sto per impazzire, ma devo rimanere calma. Disperarsi è inutile. Ho questo istinto di sopravvivenza o no? Ce l’ho? Non lo so nemmeno io. So solo che da quando mi sono svegliata qui dentro sono diversa. Molto diversa. Ma non me ne preoccupo, ora voglio soltanto uscire.
L’unico modo per farlo, forse, è rischiare di rompermi l’osso del collo. Ma non mi interessa: devo assolutamente uscire da qui. Odio essere rinchiusa.
Inizio ad agitarmi come una pazza per far cadere questa maledetta cassa. Mi muovo avanti e indietro, salto, do grosse testate. Finalmente riesco e cado a terra con un tonfo, andando a battere la testa su uno degli angoli. Un dolore e qualche imprecazione, poi sono come nuova.
Il legno, a causa della caduta, si è spaccato in un punto abbastanza centrale sull’asse che, fra le quattro, è schiantata a terra. Un colpo di culo, cosa che mi capita raramente.
Emetto una risatina stridula, prima di andarmi a tappare la bocca con ambedue le mani. Non ho mai riso in questo modo! Che sia una risatina isterica? Forse per lo stress che comporta situazione in cui mi trovo?
Non c’è tempo da perdere. Non ricordo assolutamente nulla di ciò che è successo, quindi tento in ogni modo di capire. Le mie mani, nel frattempo, iniziano a sanguinare nel tentativo di finire di rompere l’asse di legno. Minuscole schegge si insinuano nella mia carne, qualcosa a cui sono abituata dato che mi diverto a sporcarmi le mani col fai da te. Qualcosa a cui non ho mai dato peso. Eppure, in quel momento, il cuore inizia a battermi a mille e in me sale un’ansia fortissima, come se stessi vivendo una catastrofe. Mi rendo conto dell’assurdo: io sono preoccupata per l’aspetto estetico delle mie mani! Io che mi taglio le unghie perché suono la chitarra in riva al mare, io che riparo le tubature a casa mia, io che controllo il motore se la macchina si ferma per strada.
E’ assurdo. Non so dove mi trovo, rischio di morire di sete o per asfissia, e la mia unica preoccupazione, in questo momento, è la bellezza delle mie mani.
Non mi riconosco. Questa è una preoccupazione che non mi appartiene, perché ce l’ho? Questo mi disorienta e mi paralizza, molto più dell’idea di trovarmi intrappolata in una cassa di legno nel bel mezzo di un luogo che, a giudicare dal clima, sembra il deserto.
Cerco però di non pensarci e continuo a rompere tutto, controllando ogni tanto le mie mani, spinta da un istinto che non è il mio. Man mano che la spaccatura si fa più ampia e la luce, quindi, più intensa, noto che le mie unghie sono perfettamente curate e ricoperte da uno strato di smalto rosso fuoco. Io non ho mai messo lo smalto rosso in vita mia, mai. Al massimo rosa pallido, o trasparente, ma giusto per le occasioni importanti e dopo una sequela di implorazioni da parte di mia madre. Non ho mai messo lo smalto rosso e non so come mi sia saltata in mente una cosa del genere. Che sia uno scherzo? Che me l’abbiano messo nel sonno? O, più probabilmente, che mi sia totalmente bevuta il cervello?
Guardo le mie mani sanguinanti con un orrore che non è il mio. Sono profondamente disgustata da qualcosa che, fino a prima di trovarmi qui, a malapena avrei notato. E non solo! La mia attenzione è attirata da questa stronzata delle mani rovinate! Non dalle cose veramente importanti, come ad esempio cercare di capire dove diamine sono, perché, chi mi ci ha messo qui, e cosa ci fanno le mie dannate unghie con lo smalto rosso. Accidenti, le mie mani sono brutte. Domani devo andare assolutamente dall’estetista e dal dottore. Chissà se torneranno mai come prima!
Ma che sto dicendo? Io non sono mai andata dall’estetista! Ho sempre fatto la tinta in casa, usato il tagliaunghie e al massimo messo un po’ di crema idratante per rinfrescarmi. Da dove sono usciti questi pensieri? Non sono i miei! Non sono io! Ridatemi me!!
Uso il barlume di lucidità che mi è rimasto per terminare di aprire la cassa, e finalmente ci riesco. Vorrei dire che tiro un sospiro di sollievo, ma direi una bugia. In primo luogo, perché è impossibile sospirare con un’aria del genere; poi, perché rimango senza fiato.
Davanti a me non c’è altro che un’infinita distesa di casse in legno, identiche a quella che fino a pochi secondi fa mi intrappolava. Inutilmente, ancora a bocca aperta, mi metto in punta di piedi per cercare di vedere cosa vi sia oltre. Ovviamente non c’è null’altro, solo casse di legno fino all’orizzonte. Come se mettermi in punta di piedi potesse poi servirmi a qualcosa. Ma che sto facendo? So che la maggior parte delle cose che sto pensando e facendo sono stupide, eppure continuo a pensarle e a farle.
Involucri di legno e basta. Sto per impazzire. Ma dove sono? Perché sono qui?
Mi avvicino ad una delle casse per cercare di carpire un indizio o qualcosa del genere. La scruto da cima a fondo e riesco solo a vedere una piccola scritta. La prima cosa che finalmente riconosco in questo assurdo scenario. Sono marchi associati a mass media diffusi a livello mondiale. Eppure continuo a non capire. Cosa ci facevo io in una di queste scatole? Come diamine ci sono finita? Il mio ultimo ricordo risale a stamattina, o almeno voglio sperare che si tratti dello stesso giorno. Mi stavo preparando il caffè. La televisione era accesa e mostrava immagini di donne bellissime che si erano fatte strada in campi che non c’entravano nulla con loro; ordinaria amministrazione. Non ricordo ciò che stavano dicendo, qualcosa che aveva a che fare con l’individuo perfetto, non so, non mi interessa granché la televisione. Poi non riesco a ricordare altro. Semplicemente, sono qui.
Mi volto per cercare la cassa che ho rotto io e ci inciampo. Cado rovinosamente in terra ed emetto un gemito che sembra più un lamento. Strano, in genere impreco. Non sono una persona lamentosa.
Apro gli occhi e vedo davanti a me una cascata di capelli biondi. Sorrido ed esulto! Non sono sola! C’è qualcuno con me! Mi alzo di scatto, incurante del dolore e mi volto, ma non vedo nessuno.
Cerco ancora la persona con i capelli biondi, ma non la trovo. Comincio anche a chiedere a voce alta “Chi sei? Chi c’è”, ma nessuno mi risponde. Calo il capo, sconfortata, e vedo nuovamente i capelli biondi. Istintivamente vado a toccarli.
Impiego un lasso di tempo indefinito per capire che sono i miei, ed emettere un grido di svariati decibel.
I capelli biondi? Lo smalto rosso? Ma che diamine mi è passato per la testa in questo assurdo e lungo momento di buio totale della mia memoria? Inizio a pensare che siano passati diversi anni dalla mattina in cucina a questo momento. Le ipotesi iniziano a susseguirsi, alla fine concludo che devo essere cambiata molto ed aver subito un trauma o qualcosa del genere che mi ha portata all’amnesia. Evidentemente qualche botta in testa.
Stando al mio ultimo ricordo, ho sempre avuto i capelli scuri e ricci, lunghi fino alle spalle. Adesso ho una chioma lunga e fluente, bionda. Non mi è mai piaciuto il biondo. Ho sempre fatto tinte al solo scopo di ravvivare il colore, ma sempre castano era!
I miei pensieri inconcludenti vengono distratti da un gridolino disperato che proviene dall’interno di una cassa. Mi scuoto dal torpore che mi aveva inghiottita ed inizio a muovermi velocemente. Busso e tendo l’orecchio; cerco di rassicurare la persona che vi è rinchiusa in merito al fatto che presto la tirerò fuori di lì. Non ci credo nemmeno io, ma val la pena provare.
Torno indietro e inizio a cercare fra i resti dell’involucro che mi conteneva, un pezzo di legno particolarmente grosso e appuntito. Per fortuna, le assi sono intagliate in modo tale che si spezzino in verticale, dunque riesco a procurarmi un buon pezzo, proprio come lo cercavo. Grazie a quello, inizio a dare forti e profondi botte in un punto della cassa che mi sembra più debole rispetto agli altri, essendo vicino ad uno degli angoli.
Sudo, allora mi fermo ed inorridisco di fronte al fatto che sudo. Come se non sudassi tutti i giorni per il lavoro che faccio o per i miei hobby! Quando mai mi sono lamentata del sudore! I pensieri contrastanti che lottano all’interno della mia testa stanno iniziando a farmi impazzire. Non posso sudare, puzzerei e non ho le mie essenze profumate, non ho una doccia vicino e, soprattutto, non ho cosmetici e profumi. Il mio fondotinta si sarà sciolto? E la matita? Oh cielo. Non posso farmi vedere in questo modo. Ma che me ne frega del fatto che sto sudando? Devo liberare questa poveretta!
Altro barlume di lucidità, continuo a battere forte contro il legno..finché, finalmente, la cassa si apre.
La luce del sole mi acceca, quindi faccio fatica ad inquadrare la figura femminile che mi si presenta davanti. Poi la vedo.
Una bellissima donna bionda, curata di tutto punto. Abito griffato, labbra carnose e ciglia così lunghe e perfette da sembrare finte. Ha una quinta di seno. E’ evidente, dato che l’abitino striminzito è anche scollatissimo. Inizialmente trema, dopodiché vedo che la sua espressione inizia a mutare in maniera repentina e innaturale. Improvvisamente assume una posizione composta. E’ in piedi di fronte a me e mi guarda con un sorriso, poi mi dice “oh cara, ti trovo in gran forma. Che ne diresti di chiedere un passaggio a un bel figo e farci portare a fare shopping?”. Mi strizza l’occhio. Io la guardo, esterrefatta, inorridita. Sto per aprire la bocca e dirle come diamine le passa per la testa di fare shopping in una situazione del genere. Ma dalle mie labbra fuoriescono tutt’altre parole, pronunciate con una fastidiosa ed acuta voce da ochetta “ma certo tesoro! Ho visto una borsetta di Gucci che è all’ultimo grido! Ti piacerà un casino! Poi dopo andiamo a fare quattro salti in disco e sfoggiamo i nostri acquisti!”.
Porto le mani davanti alla bocca. Inizio a piangere e grido. Chi sono? Che ho detto? Il mio nome. Ricordo ancora il mio nome. Ma sono bionda, ho lo smalto, e non comando le mie parole. Come se le pronunciasse qualcun altro al posto mio. E poi sento che sto cambiando di secondo in secondo. Mi guardo attorno, disorientata e con le lacrime che iniziano a rigarmi le guance, mentre l’altra bionda mi indica le tette e dice “accidenti! Che crema usi per il seno, cara? Stanno diventando due bombe!”. Bombe? Non ho mai avuto due bombe. Abbasso lo sguardo e vedo il mio seno che si ingrandisce, parimente ai miei occhi che si sgranano. Finalmente la crescita si ferma. Ho una quinta anche io.
Non sono abituata, non riesco a guardare i miei piedi! Mi agito così tanto che cado a terra di nuovo, ma non sono inciampata su nulla, stavolta.
Porto una mano alla caviglia indolenzita, la guardo per appurare che stia bene e vedo che ai piedi ho un paio decolleté con i tacchi a spillo. Identiche a quelle della tipa che era all’interno della cassa. Non capisco più nulla, non sono più io. Non è una questione di tempo, perché a giudicare dal corpo che ho sono ancora piuttosto giovane. Semplicemente non sono io. Mi sto trasformando, non riesco a smettere di piangere. E sono lacrime mie, forse l’ultima cosa mia che è rimasta. Assieme agli ultimi barlumi di lucidità.
Questo posto è troppo caldo e io non posso assolutamente permettermi di sudare, quest’abitino è firmato e se si rovina mi ammazzo! Devo trovare assolutamente uno specchio, mi giro verso la mia nuova amica e vedo che anche lei è intenta a cercare qualcosa, probabilmente quel che sto cercando io. Che casino, voglio tornare a casa, devo assolutamente andare dal parrucchiere. Altrimenti non riuscirò mai a sposarmi entro breve, mettere su famiglia, andare ogni domenica in Chiesa con mio marito e i bambini, cucinare manicaretti ai colleghi del mio uomo. Devo essere bellissima, voglio sposare un uomo ricco. Così ricco da potermi pagare il parrucchiere e l’estetista ogni settimana. Non devo preoccuparmi ora, se mi si contrae il viso mi vengono le rughe. Se mi vengono le rughe come faccio? Oddio.
Cado in ginocchio in preda ad una crisi di nervi, inizio a gridare e ad inorridire per i pensieri che mi passano per la mente, che sembrano assolutamente miei, non di qualcun altro, eppure non mi appartengono. Non so come spiegare. Non ho mai dato importanza all’estetica, e poi sono fidanzata da cinque anni con il mio amore. Lui lavora in officina, eppure ogni domenica mi porta un fiore per ricordarmi quanto mi ama. E non ha un soldo, probabilmente non ci sposeremo mai perché i nostri salari sono ridicoli. Eppure non ci interessa, ci amiamo da morire. Che me ne faccio di un uomo ricco? Un uomo ricco. E’ questo ciò di cui ho bisogno. Devo lasciare quell’inetto e trovarmi un ricco che possa mantenermi. A costo di doverlo succhiare a tutti i più potenti capi d’industria esistenti. Voglio vivere come una principessa.
Mi appoggio ad una delle casse e inizio a dare di stomaco per quello che ho appena pensato. Vomito e piango contemporaneamente, nel frattempo la terra sembra quasi allontanarsi. Lo attribuisco a un capogiro, ma sono soltanto io che divento più alta. Mi trasformo ancora. Controllo il mio vestitino con le pailette. Non posso assolutamente permettere che si sporchi, è all’ultimo grido e io lo amo.
Strani rumori mi distraggono dal mio stupido pensiero fisso. Il sole sta iniziando a calare e tutte le casse, finalmente, si aprono.
Ciò che vedo mi lascia senza fiato. Milioni, forse miliardi, di donne bellissime ed identiche a me ed alla mia amica fuoriescono dai loro involucri. E non soltanto, da altrettante casse sbucano fuori uomini incravattati, con occhiali da sole e un’evidente botta, o due, di lampada abbronzante. Sorrisi bianchissimi e falsissimi. Ognuno di questi si avvicina all’altro per proporre determinati prodotti di chissà quale azienda. Le donne iniziano ad addentrarsi in un fitto chiacchiericcio pregno di argomenti futili e inconsistenti.
Pian piano inizio a capire che succede. Ricollego. Le scritte, i mass media, l’individuo perfetto. Ci hanno trasformati, ci hanno resi le dannate pecore che volevano fossimo. Miliardi di ignoranti interessati solo a soldi, bellezza e successo. Donne e uomini pronti a vendere la loro dignità per denaro. Nessuno parla di argomenti quali sentimenti, amore, bambini, vita. Perché nessuno lo fa? Che stanno dicendo? Il nuovo rossetto della Chanel? Il mercato azionario?
Mi tappo le orecchie e continuo a piangere. Inizio a correre, facendomi spazio fra la fittissima folla. Non posso sfuggire al mio destino, eppure ci provo. Rimanendo concentrata su pensieri felici, profondi. Sul sorriso di mia madre, sull’affetto dei miei fratelli e delle mie sorelle, sulla tuta sporca d’olio del mio amore quando mi cinge a sé e mi sporca, si scusa e ridiamo insieme come due adolescenti, sui miei nonni che a novant’anni suonati si danno il bacetto del buongiorno e si chiamano “amore”, sulla bellezza delle stelle in un cielo d’estate, sulla bellezza delle stelle della TV, devo essere assolutamente come loro, perfetta in ogni occasione. Il successo è importante, per il successo sono disposta a tutto. Devo fermarmi, basta correre. Potrei sudare ancora di più e mi si rovina lo smalto. Devo provare a sedurre uno di questi signori. Sicuramente saranno ricchissimi. Bello quell’orologio d’oro. Mi sistemo la scollatura affinché il seno si veda meglio e mi alzo la gonna, così che possano notare quanto belle sono le mie cosce. Lo conquisterò sicuramente, così. Col bellissimo involucro in cui sono intrappolata, per sempre.